IL TRIBUNALE
   Riunito in Camera di Consiglio nella  causa  penale  relativa  agli
 imputati  De  Sanctis  Antonio,  Amicucci  Giuliano  e  Viva Augusto,
 accusati dei reati di cui agli artt.  611, 339, 319 e 648 cod.  pen.,
 commessi in Sulmona ed Avezzano in periodo compreso tra il 1990 ed il
 1993 ha emesso la seguente ordinanza.
   Rilevato che all'udienza del 26 febbraio 1998 il p.m. ha sollevato,
 con    diverse    argomentazioni,    eccezione    di   illegittimita'
 costituzionale dell'art. 513,  comma  primo,  c.p.p.,  nella  attuale
 formulazione;
   Letti gli atti del giudizio;
   Rilevato  che all'atto dell'entrata in vigore dell'art. 513 c.p.p.,
 come novellato dalla legge 7 agosto 1997, n. 267, il dibattimento era
 gia' in corso e non era  stato  ancora  sentito  l'imputato  Amicucci
 Giuliano;
     che  pertanto  non  trova  applicazione  nella  specie  la  norma
 transitoria di cui all'art. 6,  comma  2,  della  legge  citata,  pur
 trattandosi di dichiarazioni rese nella vigenza dell'art. 513 c.p.p.,
 prima della citata riforma;
   Considerato che all'odierna udienza l'imputato Amicucci Giuliano e'
 assente;
     che  pertanto  il  p.m.  ha  chiesto  che  si desse lettura delle
 dichiarazioni rese dall'Amicucci alla presenza del suo  difensore  al
 pubblico  ministero  in  data  10  agosto  1993 e che i difensori dei
 coimputati Viva e De Sanctis non  hanno  prestato  il  loro  consenso
 all'utilizzazione  nei  confronti  dei  loro assistiti delle suddette
 dichiarazioni;
     che  le  dichiarazioni  rese  dall'Amicucci  sono   assolutamente
 necessarie  ai  fini del decidere in quanto costituiscono il collante
 indispensabile per  l'utilizzabilita'  degli  elementi  di  riscontro
 forniti dal pubblico ministero;
     che in particolare esclusa l'utilizzabilita' per il Viva ed il De
 Sanctis   delle   dichiarazioni  dell'Amicucci,  i  documenti  e  gli
 accertamenti tecnici prodotti dal pubblico ministero, o inseriti  nel
 fascicolo  del  dibattimento sarebbero privi di collegamento e quindi
 di ogni valenza ai fini della prova dei reati contestati;
     che in riferimento al contenuto  dell'art.  513  c.p.p.,  attuale
 formulazione,   sembra   si   possano  rilevate  diversi  profili  di
 illegittimita' costituzionale:
   1. - Contrasto con l'art. 101, secondo comma, Cost.
   Invero l'art. 101, secondo comma, Cost.,  cosi'  come  interpretato
 dalla  sentenza  n. 88 del 12 maggio 1982 della Corte costituzionale,
 stabilisce che il  giudice,  nell'esercizio  delle  sue  funzioni  e'
 sottoposto  solo  alla legge, principio da intendersi anche nel senso
 che il suo libero convincimento  non  puo'  essere  subordinato  alla
 volonta'  o  all'interesse  dei singoli. L'attuale formulazione della
 norma in esame, al contrario, nell'impedire  l'utilizzabilita'  delle
 dichiarazioni   raccolte   nel  rispetto  della  normativa  all'epoca
 vigente, subordina  all'esclusiva  valutazione  dell'imputato  o  del
 coimputato la formazione del libero convincimento del giudice.
   Ne'  puo'  ragionevolmente ritenersi che la previgente formulazione
 dell'art. 513  c.p.p.,  comprimesse  sostanzialmente  il  diritto  di
 difesa  posto  che le dichiarazioni rese dal coimputato entravano nel
 giudizio con i limiti previsti dall'art. 192, comma 3; c.p.p.
   La norma novellata inoltre, subordinando al consenso delle parti la
 lettura dei verbali in questione, sembra evidenziare scarsa  coerenza
 con  lo  stesso  sistema processuale penale che prevede, nel rispetto
 del libero  convincimento  del  giudice  e  del  perseguimento  della
 verita'  sostanziale,  la facolta' per il giudice, ai sensi dell'art.
 507 c.p.p., di integrare, con il solo limite dell'assoluta necessita'
 ai fini del decidere, l'attivita' probatoria delle parti.
   2. - Contrasto con l'art. 111, primo comma, Cost.
   L'articolo in esame sembra altresi' in contrasto  con  l'art.  111,
 Cost.,  nella  parte  in  cui prevede l'obbligo della motivazione dei
 provvedimenti  giurisdizionali,  da  intendersi   quale   motivazione
 logica,  coerente  e  uguale  per tutti gli imputati, espressione del
 libero  convincimento  del  giudice  e  possibilmente  della  verita'
 sostanziale,  finalita'  queste  non  raggiungibili se si consente il
 formarsi di diverse verita'  processuali,  spesso  in  contrasto  tra
 loro.
   3. - Contrasto con l'art. 3, Cost.
   Con  riferimento  a  quest'ultimo  parametro costituzionale, l'art.
 513, comma 1, c.p.p., sembra viziato, per irragionevole disparita' di
 trattamento  della  utilizzabilita'  delle  dichiarazioni  rese   dal
 coimputato   nei   confronti  di  soggetti  terzi  ed  aventi  quindi
 sostanziale natura testimoniale, rispetto alla utilizzabilita'  delle
 dichiarazioni  rese  dai  testimoni  irreperibili,  deceduti,  che si
 rifiutino i rispondere o che rendano dichiarazioni difformi da quelle
 in precedenza rese (art. 512 e 500, comma 4, c.p.p.).
   Ne' i dubbi  di  costituzionalita'  appena  esposti  paiono  fugati
 dall'allargamento  delle  ipotesi  in  cui  e'  consentito  ricorrere
 all'incidente probatorio.   Invero, premesso  che  nella  vicenda  in
 esame non pare applicabile la norma di cui all'art. 6, comma 1, della
 legge  n.  267/1997  (poiche',  alla  data di entrata in vigore della
 stessa il dibattimento era gia' stato aperto), va  comunque  rilevato
 che  nulla  vieta  ai  coimputati  di avvalersi della facolta' di non
 rispondere  anche  in  tale  sede,  con  effetti  analoghi  a  quelli
 verificatisi nel presente processo.
   Le  censure  prospettate appaiono particolarmente significative nei
 casi, quale quello in esame, in cui non trovando applicazione  alcuna
 norma  transitoria,  gli elementi di giudizio legittimamente raccolti
 nella vigenza di un diverso regime  probatorio  processuale,  vengano
 totalmente  vanificati  da  una sopravvenuta normativa, benche' detti
 elementi  abbiano  determinato  l'esercizio  dell'azione   penale   e
 l'emissione del decreto dispositivo del giudizio.
   Pertanto,  tenute  presenti  le  argomentazioni svolte ed il palese
 contrasto con i principi della conservazione degli atti processuali e
 della  ricerca  della  verita'  sostanziale,  sanciti   dalla   Corte
 costituzionale  con  le  sentenze n. 241 del 3 giugno 1992,  e n. 255
 del  3  giugno  1992,  si  ritiene,  sia  sull'impulso  del  pubblico
 ministero  che  d'ufficio,  di  sollevare  in  quanto rilevante e non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 513, comma 1, e 514, c.p.p. in relazione agli artt. 3, 101,
 secondo comma, e 111, primo comma, Cost.